di Piercarmine Porcaro
Il diabete è oggi considerata una patologia epidemica, per la sua grande diffusione in Italia. Lo stile
di vita moderno, caratterizzato da sedentarietà, elevata assunzione di cibi grassi e zuccheri
purtroppo, soprattutto nelle regioni del nostro meridione, anche una scarsa attenzione alla
prevenzione e agli screening a cui i pazienti diabetici debbono ciclicamente sottoporsi, favorisce il
propagare di questa malattia e delle sue complicanze.
Come è noto, il diabete è una patologia sistemica, che causa numerose alterazioni nell’organismo
legata agli elevati livelli di glucosio nel sangue se non trattati, come danni cronici a reni, fegato,
nervi periferici e sistema cardiovascolare. È quest’ultima condizione, che predispone all’accidente
vascolare più temuto ovvero l’Ictus. La formazione di placche aterosclerotiche e la perdita della
fisiologica elasticità dell’arteria, causata dagli elevati livelli di zucchero nel sangue, rende il
paziente diabetico molto esposto alla patologia ischemica.
L’ictus cerebrale è una improvvisa chiusura o rottura di un vaso cerebrale. Nel paziente diabetico,
la prima forma è quella sicuramente più frequente. Diversi studi scientifici, già a partire dal 2012
(condotto dalla Columbia University Medical Center di New York City) hanno dimostrato una
correlazione tra durata del diabete e accidenti cerebrovascolari, evidenziando un aumento delle
probabilità di incorrere in tale complicanza per i pazienti che sono diabetici da più tempo.
In Italia l’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, causando il
10-12% di tutti i decessi per anno, e rappresenta la principale causa di invalidità. L’incidenza
dell’ICTUS aumenta in modo progressivo con l’età; il 75% degli ICTUS colpisce i soggetti di oltre 65
anni. L’ICTUS ischemico è la forma più frequente nell’80% dei casi. Nelle persone diabetiche il
rischio di ICTUS ischemico è 3 volte più elevato rispetto ad un soggetto normale. In Italia ogni anno
si verificano oltre 200.000 casi di ictus e ben 930.000 persone ne portano le conseguenze.
Il trattamento più efficace e risolutivo, che determina una minore insorgenza di invalidità post
ictus è la riapertura del vaso occluso eseguita presso la struttura di Neuroradiologia
interventistica, all’interno delle cosiddette “Stroke Unit”.
I pazienti suscettibili a tale trattamento radiologico debbono rientrare in una stretta
organizzazione multidisciplinare che coinvolge in primis i Neuro-Radiologi, che in collaborazione
con altra figura mediche specialistiche, hanno la possibilità di intervenire quando il paziente con
ictus rientra in uno stretto lasso temporale. L’intervento tempestivo è di fatti fondamentale, ogni
secondo senza intervento circa 32 mila cellule neuronali muoiono. Nei successi 59 secondi
dall’inizio dello stroke ischemico il paziente perde 1,9 milioni di neuroni.
La procedura di neuroradiologia interventistica consiste nella trombectomia, ovvero il catetere
viene fatto arrivare nel punto dove si è verificata l’occlusione così da rimuoverla meccanicamente.
La procedura oggi è sicura e garantisce una riduzione significativa della disabilità residua dopo
l’ictus, inoltre la trombectomia si mantiene efficace se praticata dalle 6 fino alle 24 ore dopo la
comparsa dei sintomi; quindi, più a lungo rispetto alla trombolisi con la quale occorre agire entro
al massimo 9 ore.
Appare, dunque, evidente come sul territorio, per poter sottoporre i pazienti a tali procedure
emergenziali, debba esistere una rete sanitaria organizzata ed efficiente “Stroke Unit”, così da
poter salvare non solo la vita dei pazienti, ma prevenire le terribili invalidità a cui sono esposti ile
persone non trattate tempestivamente, essendo questa patologia la prima causa di invalidità
permanente in Italia.
Purtroppo, assistiamo ancora oggi, soprattutto nel SUD Italia, ed in particolare nelle province
meno abitate, più piccole e lontane dai grandi centri ospedalieri, un’assenza di tali reti di
Neurointerventisca, che creano una netta divisone dei pazienti, essendo l’ictus una patologia
tempo-dipendente, tra chi ha accesso a tali trattamenti tempestivi e chi purtroppo no. In tutto il
Paese solo il 37% dei pazienti candidabili a trombectomia intracranica viene sottoposto al
trattamento endoarterioso. Questo dipende in buona parte dalla carenza di Stroke Unit: ne
servirebbero almeno 300 in tutta Italia e ce ne sono solo 190, distribuite a macchia di leopardo e
per l’80% al Nord.
L’impegno dello Stato, e soprattutto delle Regioni a cui è delegata l’organizzazione della Sanità,
deve tendere alla creazione di tali strutture ricettive affinché a tutti i cittadini, diabetici e no, sia
garantita la stessa possibilità di cura, mettendo fine alla terribile sperequazione che esiste tra
provincia e metropoli, tra cittadini di serie A e serie B.
Piercarmine Porcaro